“Il Vigneto Friuli è a un bivio fra il fascino dei vitigni autoctoni ed il mercato di quelli universali.
La vigna non è un orto, in cui ogni anno si possono cambiare le regole del gioco. Quando si sceglie una varietà, una forma d’allevamento, deve valere per 20-30 anni. I vignaioli non possono più rincorrere le manie ed i capricci dei propri clienti, che troppo spesso si improvvisano consulenti ed enologi. Una certa debolezza in tal senso ha portato cantine di piccole-medie dimensioni a dover gestire anche 10-15 vini, impazzendo ad ogni travaso. Sta maturando oggi l’idea che con due-tre bianchi e uno-due rossi, insieme ad uvaggi seri e rappresentativi del territorio d’origine si può lavorare bene e meglio.
Autoctoni ed “acclimatati” (soprattutto Pinot grigio e Sauvignon), potranno convivere senza farsi le scarpe a vicenda. I primi garantiranno la memoria storica, la suggestione, l’aneddoto, l’aggancio alle proprie radici, molto cari ad un consumatore colto e portato ad apprezzare il vino non quale bevanda, bensì strumento da meditazione. I secondi accontenteranno il palato, ma soprattutto il conto in banca del viticoltore”.
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