Gli italiani stanno voltando le spalle alla Dieta Mediterranea

Quante persone praticano questo stile alimentare?

I comparti che andremo ad esaminare in questo “Quaderno 2022” riguardano, tra gli altri, l’orticoltura, la frutticoltura, l’ulivicoltura e le erbe officinali che sono alla base, col pane e il pesce, della Dieta mediterranea*, dai cui principi, come tra poco vedremo, gli italiani si stanno allontanando, causando preoccupanti conseguenze anche sulla salute. Insomma siamo nel bel mezzo di tante trasformazioni e troppe contraddizioni anche nei comportamenti dei consumatori.

Quanto segue è la sintesi di un lavoro pubblicato da Elisabetta Moro e apparso su “Cook-Corriere della Sera” del 12.06.19. Riguarda uno studio pubblicato sull’European Journal of Public Health, dal titolo Socioeconomic and psychosocial determinants of adherence to the Mediterranean diet in a general adult Italian population. L’indagine è condotta da 27 ricercatori italiani, che collaborano al progetto Moli-sani e all’Inhes Study (Italian Nutritional & Health Survay), guidati da Licia Iacoviello, medico e professore ordinario di Igiene e salute pubblica dell’Università dell’Insubria di Varese.

Quante persone praticano questo stile alimentare – la Dieta mediterranea – nel Paese in cui è stato scoperto, ovvero l’Italia?

Le risposte sconfortano: al Nord solo il 41% della popolazione mangia mediterraneo. Al Sud si sale appena al 42,1%. Il Centro sembra che si affacci sul Baltico anziché sul Mare Nostrum: totalizza un misero 16,8%. Sotto Roma si mangia così per tradizione, mentre al Nord la piramide alimentare è una scelta consapevole, ovvero bilanciare gusto e salute. Nell’Italia a tavola, l’aderenza alla dieta mediterranea cresce con il reddito. Come dire che oggi è un lusso. Non a caso la crisi economica del 2007-2010 ha spinto molti italiani verso consumi alimentari di qualità inferiore, più simili a quelli del Nord Europa. Incrementando l’acquisto di uova, formaggi, insaccati low cost, pane e dolci a lunga conservazione, nonché di prodotti industriali, ricchi di grassi, zuccheri e sale. Qualcosa di analogo era già accaduto con il boom economico degli anni Sessanta. La differenza è che, allora, gli italiani volevano lasciarsi alle spalle la guerra e la miseria contadina. Sempre più sughi elaborati, carni rosse, formaggi, uova, grassi animali. E meno cereali integrali, legumi, verdura, dolci al posto della frutta. Sostanzialmente il modello alimentare made in USA. 

I primi a capirlo e tradurlo in politiche sono stati i finlandesi che, negli anni Settanta, abbassarono i dazi delle importazioni di frutta, verdura, olio extravergine d’oliva e vino per favorirne il consumo. Il risultato di questa “mediterraneizzazione” è che, allora, avevano il primato europeo di infarti, mentre oggi sono sani come pesci. Gli Stati Uniti, invece, sono andati nella direzione opposta. L’obesità e la malattia da cattiva alimentazione erano e restano un flagello. Con un consumo di carne che supera in media il quintale all’anno pro capite. Secondo l’università di Oxford è record mondiale. Il Belpaese, con i suoi 50 chili, è lontano da questi eccessi. Nonostante ciò, l’Italia ha un indice di adeguatezza mediterranea (Mai), cioè la misurazione scientifica di quanto lo stile di vita aderisca a questo modello, per nulla entusiasmante. Negli anni ‘60 la media nazionale era di 3,3, un valore non altissimo sulla scala da 1 a 10, ma che includeva casi virtuosi come la Calabria (7,5) e il Cilento (6,3), assieme a casi meno brillanti come l’Emilia Romagna (2,4). Oggi la media è scesa a 1,62: per fare un paragone gli Stati Uniti, ultimi in classifica, sono a 0,64.  Insomma, non siamo i peggiori al mondo, ma stiamo sconsideratamente abbandonando la nostra cultura culinaria. 

Il problema più grande sono, però, i bambini. Soprattutto al Sud. Secondo un’altra ricerca, Okkio alla salute – svolta ogni due anni dal Ministero della salute e dal Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie – su un campione di 48.946 bambini di 8-9 anni e 48.464 genitori di tutte le regioni tra malnutrizione e obesità, i piccoli italiani se la passano male. Siamo il paese europeo con più minori over size, 3 su 10. E la Campania, dove la dieta mediterranea è stata scoperta, è addirittura il fanalino di coda. Perché? I piccoli mangiano mediterraneo ai pasti, ma fast food fuori casa. Fanno poco sport. I genitori del Sud, sottolineano gli scienziati, non rilevano i chili in eccesso finché il bambino non è palesemente obeso. In più da un ulteriore studio svolto in Campania dal MedEatResearch, un fattore determinante è l’importanza del cibo nella relazione tra madre e figlio. Soprattutto nelle classi sociali più disagiate, dove una madre affettiva e accudente è prima di tutto “nutriente” e la seduzione alimentare guarda più i figli che i mariti. È evidente, dobbiamo ricominciare tutto da capo, recuperando il meglio della tradizione. Non per una intempestiva nostalgia del passato. Ma per un lungimirante ritorno al futuro.


* La Dieta mediterranea venne scoperta dall’americano Ancel Keys. Invitiamo il lettore a fare un veloce ripasso di questo modello alimentare che il mondo c’invidia e che noi ora stiamo quasi ripudiando. La storia gli ha dato talmente ragione che l’Unesco, nel 2010, ha proclamato la Dieta mediterranea patrimonio dell’umanità. E la FAO, tre anni dopo, l’ha indicata come ricetta ideale per nutrire il pianeta con un impatto ecologico.

Ancel Benjamin Keys (Colorado Springs 1904-Minneapolis 2004), fu biologo e fisiologo. Studiando l’epidemiologia delle malattie cardiovascolari, giunse a formulare ipotesi sull’influenza dell’alimentazione in tali patologie e ad individuare i benefici di un regime alimentare da lui stesso definito ‘dieta mediterranea’.

Nei primi anni ’50 venne a Roma, già famoso in quanto ideatore della ‘Razione K’ (razione da combattimento individuale giornaliera introdotta negli Stati Uniti d’America nel 1942 nel corso della seconda guerra mondiale), per partecipare al primo ‘Convegno sull’alimentazione’. Rimase affascinato dal dato della bassa incidenza di patologie cardiovascolari e di disturbi gastrointestinali nella regione Campania e nell’isola di Creta, e fu il promotore del primo studio pilota per chiarire tale mistero.

Prese in esame la popolazione di Nicotera, in Calabria, e nel 1962 si trasferì a Pioppi, villaggio di pescatori del comune di Pollica, nel Cilento, dove rimase per 40 anni, studiando, insieme ad alcuni collaboratori, l’alimentazione della popolazione locale e giungendo alla conclusione che la dieta mediterranea apportava benefici alla salute. 

Dalle anamnesi che estrapolò dalle interviste dei pazienti emerse che nei paesi del Sud Italia, viste le precarie condizioni economiche della popolazione, l’alimentazione era basata su cibi poveri come cereali integrali, legumi, frutta, verdura, pesce e pochissima carne.

Dopo avere studiato lo stile alimentare del ceto medio della popolazione campana e calabrese, cominciò a sottoporre i suoi pazienti negli USA allo stesso stile alimentare, riscontrando una notevole riduzione di eventi mortali per patologie cardiovascolari, ma niente di paragonabile alle percentuali nell’Italia meridionale. Individuò l’elemento chiave nella qualità e nelle proprietà dei grassi impiegati, e in particolare nell’olio extravergine d’oliva, eleggendolo uno dei nutraceutici fondamentali per la prevenzione e la cura delle patologie cardiovascolari. Insieme alla moglie Margaret, nel 1975, tradusse i suoi studi in forma divulgativa nel volume ‘How to eat well and stay well: the Mediterran way’ (Come mangiare bene e stare bene: lo stile mediterraneo), un libro che fece epoca e che diffuse il concetto di ‘dieta mediterranea’ in tutto il mondo. Rientrò definitivamente a Minneapolis nel 2004, qualche mese dopo aver compiuto 100 anni e vi morì pochi mesi prima del compimento dei 101 anni, a riprova della bontà della sua Dieta mediterranea. 

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