tratto da “Buonenotizie-Corriere della Sera”,
Il concetto di green economy va ben oltre la costruzione di impianti fotovoltaici e la realizzazione dell’efficienza energetica, poiché investe l’innovazione nel suo complesso, in tutti i prodotti e processi produttivi, alla ricerca della qualità. Il che significa mettere la conoscenza al servizio del miglioramento della vita delle persone e del rispetto ambientale. È questo del resto il valore di un’«impresa della conoscenza che cerca lavoro di qualità e le persone per farlo», come sostiene da sempre Enrico Loccioni, tra i relatori di questo primo incontro di Soft Economy:
“La recente storia del nostro Gruppo testimonia il grande sforzo nel realizzare progetti “sostenibili”, come la Leaf Community o la riqualificazione del fiume Esino, che traducono in gesti concreti i valori della responsabilità sociale d’impresa, generando bellezza e prendendosi cura dell’ambiente. L’impresa deve sempre seminare bellezza. Non a caso il ponte pedonale, che abbiamo affidato all’architetto tedesco Thomas Herzog, molto impegnato sul fronte della sostenibilità, è stato selezionato ed esposto alla Biennale di Architettura di Venezia. L’idea di adottare la valle di San Clemente è quella di riportare all’agricoltura le tecnologie che abbiamo creato, per migliorane la sostenibilità. Siamo partiti misurando la “buccia” della terra, nei primi 20 centimetri di suolo così importanti per la nostra alimentazione e così maltrattati dalle pratiche intensive, tanto da perdere tre quarti della loro fertilità. Per ricostruire la fertilità perduta ci vuole la rotazione delle colture (come facevano i nostri avi! NdA). Il nostro obbiettivo è dimostrare che l’agricoltura si può fare diversamente e che in questo modo si possono riportare le persone in campagna. Perché, come dice Aldo Bonomi, non c’è smart-city senza smart-land. Ci siamo dedicati alla filiera del pane, selezionando il terreno, il tipo di grano tenero, la macinatura, fino al fornaio che lavora con la pasta madre e ora produce un pane veramente straordinario. Poi alla filiera dell’olio, cercando di capire di cosa ha bisogno il terreno per produrre meglio. Con la sensorizzazione delle arnie abbiamo appurato che le api producono di più se stanno bene. In prospettiva contiamo di misurare tutte le filiere, dal campo al consumatore nell’ambito del progetto Arca (Agricoltura per la Rigenerazione Controllata dell’Ambiente) che abbiamo lanciato assieme a Giovanni Fileni e Bruno Garbini. Lo scopo è riprogettare i percorsi dal suolo alle persone, coinvolgendo le comunità locali e le imprese agricole in chiave di economia circolare. Perché la rigenerazione dei territori passa inevitabilmente per l’innovazione tecnologica. Ma anche per la formazione delle persone. Accanto all’abbazia di Sant’Urbano stiamo realizzando una scuola, dove si tratterranno tutti gli aspetti del digital farming, per i ragazzi di età diverse, fino all’università. Perché il futuro si riprogetta insieme”.
2
Non è vero che siamo avvolti dal buio. Tutt’altro.
Sintesi editoriale di Nicola Saldutti, in “Pianeta 2021.
Corriere della Sera” del 25.11.2020
Se i nostri giovani si muovono con chiarezza per costruire aziende in sintonia con la necessità di salvare la Madre terra, importanti segnali ci arrivano sia dalle imprese private sia dalla scuola. Qui portiamo alcuni esempi, non senza ricordare la crescita esponenziale che stanno avendo le aziende che scelgono di diventareSocietà Benefit(tra esse anche Civibank di Cividale e la Illy di Trieste). Vuol dire che lo scatto c’è stato. Che stiamo cambiando strada in maniera irreversibile.
Afferma il presidente di Assobenefit, Mauro Del Barba, “che in questo momento abbiamo centinaia di imprese, anche tra i grandissimi nomi delle società quotate, che ci contattano e manifestano l’intenzione di diventare Società Benefit, alle quali stiamo cercando di fornire un orientamento perché assumere lo status è relativamente semplice, ma mantenerlo, in concreto, non lo è”. “All’origine di questa tendenza culturale c’è ovviamente”, osserva Federico Fubini, giornalista che, come pochi, fa comprendere con chiarezza l’economia, “la tripla crisi dell’ultimo decennio: finanziaria, ambientale e sanitaria. Sempre di più anche la teoria economica accetta che le imprese non possano più definire l’inquinamento che provocano, l’impatto sociale delle loro attività o i riflessi avversi sulle comunità territoriali nelle quali operano semplicemente delle “esternalità negative”. Una parte crescente dell’opinione pubblica è convinta che non sia più sufficiente per il sistema produttivo pagare le tasse e scaricare sui governi o sulle associazioni di volontariato il compito di gestire le conseguenze dell’inquinamento o della povertà educativa”.
Ma cosa sono le Società Benefit? Derivano dal modello statunitense e in Italia sono state codificate con una legge del patto di stabilità del 2016. Va precisato che essa non apre la strada a sgravi fiscali o a regole più alte sul lavoro o sui prodotti. Non garantisce necessariamente neppure la posizione di mercato, perché gran parte del pubblico è ancora largamente all’oscuro dell’esistenza stessa di una qualifica del genere. In base a questa legge una società che decide definirsi Benefit, con un atto giuridico presso un notaio, cambia in maniera sostanziale la propria ragione sociale: mantiene l’obiettivo del profitto per i suoi azionisti e rimane completamente all’interno nei meccanismi di economia di mercato; ma, allo stesso tempo, decide di perseguire in maniera misurabile, nell’esercizio della propria attività, anche precisi obiettivi di beneficio comune. Il rischio? Quello definito di greenwashing (ecologismo di facciata), del dichiarare un impegno in attività sostenibili solo per fare pubbliche relazioni. In teoria un Ente locale, un’associazione ambientalista territoriale, un condominio o gli stessi dipendenti potrebbero citare in giudizio una società Benefit, se ritengono che questa non stia rispettando gli obiettivi diversi dal profitto che ha dichiarato. Anche se non è ancora mai accaduto.
Le opportunità restano, sottolinea Del Barba. Una in particolare, legata alla ricerca sempre più intensa di opportunità di investimenti in attività sostenibili da un punto di vista ambientale, sociale e del governo societario. La crescita e la maturazione del sistema di società Benefit, dice Del Barba, possono dare all’Italia un vantaggio competitivo nell’attrazione di capitali. Di certo nell’Unione europea gran parte dell’elaborazione sulla definizione attività verdi (la “tassonomia”), va in questo senso. Forse per una volta può essere tra le prime su una strada nuova, invece che in ritardo.
Di questa, al momento, silenziosa rivoluzione non solo economica, ma pure etico-sociale, è un convinto sostenitore Renzo Rosso, fondatore del marchio Diesel: “L’Italia”, sostiene, “ha tutto per essere il paese icona dell’economia circolare rigenerativa. Dobbiamo considerare questa congiuntura come un momento di cambiamento unico che non possiamo mancare. Il nostro Paese è ricco di una bellezza naturale, architettonica e storica unica. Abbiamo un patrimonio culturale e gastronomico dei più ampi. Se tutto ciò venisse gestito in maniera sostenibile, potremmo diventare il Paese icona a cui tutti aspirano”. Osserviamo che in fatto di sostenibilità c’è da aggiungere che in Germania, nazione che per quanto riguarda la sostenibilità si mobilitò per prima (ricordate le piogge acide sui loro boschi?), a fine 2020 ottiene ancora il 37-38 per cento dell’energia dal carbone e dalla lignite, di cui sono piene le loro foreste. E l’Italia? Brilla con il suo 12 per cento di consumo di carbone, ossia meno di un terzo di quello della Germania.
“Poi c’è un pezzo della nostra economia troppe volte sottovalutato”, continua Renzo Rosso, “l’agricoltura. Siamo i primi al mondo per la coltivazione biologica, con circa il 15,5% della superficie totale. Ci sono società che in questo momento stanno studiando con l’intelligenza artificiale come individuare gli insetti dannosi direttamente sul campo coltivato e poi adottare le contromisure a minor impatto ambientale. Agricoltura hi-tech sostenibile: l’Italia è diventato un laboratorio avanzato di futuro in questo settore quasi senza rendersene conto. Sul fronte dell’energia restiamo leader nelle fonti rinnovabili grazie alla riduzione delle centrali termiche e alla spinta sulle fonti alternative. L’industria, dal 1990, ha tagliato del 37% le emissioni di gas serra. Gli obiettivi sono ambiziosi: entro il 2030 bisogna ridurre del 55% questo dato per arrivare alla neutralità carbonica nel 2050. Nell’Italy climate report dal 1990 al 2018 per ogni chilowattora consumato siamo scesi da 600 grammi di CO2 a meno di 290 grammi. L’anidride carbonica, così decisiva per la fotosintesi clorofilliana e così dannosa: l’Eni ha messo in campo un progetto per catturarla dove una volta c’era il gas, a Ravenna. Sarà il più grande serbatoio mondiale di CO2. Sono tanti i pezzi di leadership del Paese, bisogna mettersi lì a riscoprirli”.
3
Laurea Magistrale in Climate change
Non c’è cibo senza agricoltura, non c’è agricoltura senza pioggia, non c’è salute se l’aria è inquinata.
Una delle innovazioni più interessanti che crea un nuovo percorso formativo strettamente collegato alla gestione anche del mondo agricolo e del pianeta, ci arriva dalla Università di Trento e di Innsbruck che, assieme, hanno ideato un corso di laurea Magistrale (2018/2019) in meteorologia ambientale che coinvolge vari settori economici: agricoltura, turismo, trasporti, grandi opere. Come si legge nel piano formativo, il percorso prepara figure professionali in grado di conoscere i principi fisici alla base dei fenomeni atmosferici, le variabili e le equazioni che li descrivono e le caratteristiche dei principali sistemi meteorologici alle varie scale spaziali e temporali. Fanno parte del programma di studio gli insegnamenti nell’ambito delle discipline di scienze della terra, chimiche e agrarie, tecniche e gestionali. Il professor Dino Zardi, coordinatore scientifico della laurea magistrale di Trento, osserva: “I cambiamenti climatici stanno modificando sempre più l’ambiente in cui viviamo. Una serie di interrogativi si pongono sul nostro futuro in un clima modificato, di cui stentiamo ancora a intravedere le caratteristiche, quale sarà la disponibilità di risorse vitali, come salute, acqua, cibo? Tutte queste risorse dipendono dal clima: non c’è cibo senza agricoltura, non c’è agricoltura senza pioggia, non c’è salute se l’aria è inquinata, o se arrivano patogeni per i quali non avevamo già sviluppato le difese. La nostra capacità di anticipare questi cambiamenti dipende da quanto riusciremo a progredire nelle nostre conoscenze e nelle tecnologie ecosostenibili: le nostre possibilità di riportare la situazione a valori sostenibili dipende dalla nostra capacità di cambiare modello di sviluppo. Però anche le scelte virtuose, come il sempre maggior uso di fonti energetiche rinnovabili – solare, eolico, idroelettrico – presuppongono la conoscenza di dove e quanto tali risorse saranno disponibili”. Tutto questo porta al cuore della scelta dell’università di Trento: “La domanda di informazione su questi argomenti e i dati, analisi e previsioni affidabili è in continuo aumento. Non solo da parte di un pubblico generalista diffuso (come le previsioni meteo precise e tempestive sul nostro cellulare), ma anche da parte di imprese, organizzazioni di categoria, professionisti istituzionali”. Con prospettive occupazionali di grande interesse, essendo un mercato in continua espansione a livello mondiale.
4
UE: premi all’agricoltura sostenibile
In tema di sostenibilità c’è una buona notizia che arriva dalla politica europea: è il Green Deal. C’è da dire che la politica agricola comune post 2020 pesa per 378 miliardi nel bilancio 2021-2027 dell’Unione. Almeno il 30% delle risorse per lo sviluppo rurale dovrà essere destinato a misure agro-ambientali e almeno il 20% dei fondi dei pagamenti diretti (questa è una novità) dovrà andare al sostegno di schemi ecologici, come l’agricoltura biologica, la riduzione di fitofarmaci e fertilizzanti e altre pratiche agricole con un impatto positivo sull’ambiente. Un’evoluzione storica dell’impianto tradizionale, perché per la prima volta i fondi della PAC saranno assegnati in base ai risultati raggiunti anziché al mero rispetto delle norme di conformità. Dal 2023, quando entreranno in vigore le nuove regole, lo Stato membro sarà giudicato sugli obiettivi raggiunti del Green Deal. L’accordo prevede infatti che ogni Paese UE presenti un piano strategico nazionale per la definizione e l’attuazione degli interventi relativi ai pagamenti diretti, alle misure di mercato dello sviluppo rurale. L’accordo prevede anche il sostegno ai giovani agricoltori. Inoltre uno Stato membro potrà creare un fondo di mutualizzazione nazionale, fino al 1% dei pagamenti diretti percepiti dagli Agricoltori, da attivare in caso di catastrofe, come alluvioni e siccità.
5
Taxonomy Regulation o tassonomia
“In biologia (è il professor Attilio Scienza che ci viene in aiuto) la tassonomia è quell’insieme di metodi che definiscono le modalità di classificazione dei taxa (gli intervalli evolutivi, come gli ordini, le famiglie, i generi, specie, etc). Può utilizzare metodi fenotipici (es.: le differenze morfologiche); chimici (es.: la capacità di produrre specifici metaboliti di riconoscimento); molecolari (le differenze nei marcatori del DNA). Nel caso citato il termine tassonomia si riferisce alla priorità delle scelte che devono essere fatte per classificare gli investimenti sostenibili”.
La Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea ha pubblicato, il 22 giugno 2020, il Regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2020 relativo all’istituzione di un quadro che favorisca gli investimenti sostenibili e recante modifica del regolamento (UE) 2019/2088. Definito Taxonomy Regulation, entrerà in vigore nel 2022. Regolamento che stabilisce i criteri per determinare se un’attività economica possa considerarsi ecosostenibile, al fine di individuare il grado di ecosostenibilità di un investimento. Esso si applica:
1. alle misure adottate dagli Stati membri o dall’Unione che stabiliscono obblighi per i partecipanti ai mercati finanziari o gli emittenti in relazione a prodotti finanziari o obbligazioni societarie resi disponibili come ecosostenibili;
2. ai partecipanti ai mercati finanziari che mettono a disposizione prodotti finanziari;
3. alle imprese soggette all’obbligo di pubblicare una dichiarazione di carattere non finanziario o una dichiarazione consolidata di carattere non finanziario ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 19 bis o dell’articolo 29 bis della direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio.
La tematica della sostenibilità (in particolar modo ambientale, ma non solo) occupa oggi un ruolo centrale nell’agenda della Commissione europea, come testimoniato dall’adozione del Green Deal europeo: una roadmap di azioni finalizzate ad un uso più efficiente delle risorse, con l’ambizione di una transizione a un’economia circolare, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva, che riduca al massimo l’inquinamento, che ristori la biodiversità e in cui la crescita economica sia dissociata dall’uso delle risorse.
I benefici di una tale classificazione sarebbero inizialmente di tipo reputazionale e di marketing (alla luce del ruolo sempre maggiore degli investimenti sostenibili nelle politiche di investimento dei diversi investitori), ma non solo: numerosi programmi adottati a livello comunitario prevedono, infatti, sovvenzioni e investimenti dedicati alle imprese che contribuiscono a vario titolo alla transizione ad un’economia green.
Per godere del label di sostenibilità ai sensi della Taxonomy Regulation, le imprese dovranno dimostrare di contribuire ad uno dei seguenti obbiettivi, senza causare alcun rilevante pregiudizio per gli altri:
- mitigazione del cambiamento climatico;
- adattamento al cambiamento climatico;
- uso sostenibile e protezione delle risorse idriche e marine;
- transizione ad un’economia circolare, prevenzione degli sprechi e incremento dell’utilizzo di materiali secondari;
- prevenzione e controllo dell’inquinamento;
- protezione e ristorazione della biodiversità e degli ecosistemi.
Osserva Nicola Saldutti in Tassonomia, meglio sapere cosa vuol dire: “Uno dei problemi della diffusione dello spirito ecologista è stato proprio l’ecologismo a tutti i costi, contrario per principio all’industria e ciò non ha aiutato molto. Anche per questo la rivoluzione verde ci ha messo tanto a diventare un impegno e una consapevolezza da parte delle aziende (non tutte, naturalmente), e degli Stati. Che però, adesso, hanno cominciato a correre. E cose che sembravano impensabili stanno entrando nella vita quotidiana. Per cui Strasburgo è il primo posto al mondo che ha varato una legge sulla cosiddetta tassonomia. Parola apparentemente complicata, ma di una semplicità disarmante: nessuno si potrà più autoproclamare verde, ecologico, sostenibile, ambientalmente compatibile. I criteri sono definiti, fissati. E soltanto le aziende che si uniformeranno a questi principi avranno la patente di alleati del pianeta”. Anche per non ripetere quello che è accaduto per il “bio”, territorio molto controverso dove non sempre il significato di quella parolina magica per conquistare consensi consumatori è stata rispettata fino in fondo.
Pure la finanza, che ha molte cose da farsi perdonare, ha cominciato a pensare che verde potrebbe far rima anche con redditività oltre che con valore (non solo economici). È tutto racchiuso, conclude Saldutti, “nelle parole di Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea, dopo aver preso la decisione di investire fortemente nei green bond, ha pensato ai suoi: Ho figli e nipoti e non voglio proprio trovarmi a guardarli negli occhi quando mi dovessero chiedere: ma cosa avete fatto?”