• Udine

Bruno Joan

Abbiamo inventato un mestiere nuovo.

Mastro Birraio, San Giovanni al Natisone

Dice Bruno Joan, fondatore del Mastro Birraio assieme al socio di allora, Roberto Capocasale: “Abbiamo inventato un mestiere nuovo”. Infatti così è stato. “Era il 1994 quando abbiamo deciso di aprire l’attività in un capannone di San Giovanni al Natisone, nel cuore del Triangolo della sedia dove si producevano, all’epoca, buona parte delle sedie in legno d’Italia.

Allora, in Italia, i birrifici artigianali erano di là da venire, tant’è che avrebbero incominciato la loro storia a partire dal 1996. E alzi la mano chi dei futuri birrai artigianali italiani non siano passati a San Giovanni per capire cosa fosse un birrificio artigianale e come funzionasse”.

Bruno Joan ebbe l’idea a Budapest, durante un lavoro che faceva per la Detroit di Trieste (azienda di allestimenti per le fiere). “In quella gran bella città sono andato a vedere un microbirrificio e sono rimasto stupito. Tornato a casa, ho subito pensato che questo tipo di locale si potesse fare anche in Friuli. Allora, continua Joan, nemmeno l’UTIF, oggi Agenzia delle entrate, sapeva come collocarci. Avevamo zero cultura in fatto di birrifici artigianali. Era tutto da inventare. L’impianto lo abbiamo fatto con maestranze ungheresi, come anche era ungherese il primo mastro birraio, il giovane Mattias, che stava nel birrificio 15 giorni, poi andava a casa e rientrava. Lui non parlava una parola d’italiano, io nessuna di ungherese, ma ci capivamo, tant’è che in due anni, grazie ai suoi insegnamenti, ho imparato a fare la birra e tuttora continuo. Fortuna vuole che ci sia Gabor, figlio dell’attuale mio socio, Nicola Pantaleo, che studia tecniche alimentari all’Università di Udine e si sta innamorando di questo lavoro.

Allora non trovavamo nulla in zona. Mr. Malt non era ancora nato. I lieviti? Andavamo a prenderli o in Slovenia oppure da un amico che lavorava alla Moretti di San Giorgio di Nogaro.
Il malto? Lo acquistavamo in Germania. La mia idea era semplicissima e tale è rimasta: non abbiamo mai fatto fusti e bottiglie, pur avendo una capacità di produzione di 2.000 hl/anno. Né vendiamo al di fuori del nostro locale. L’area di produzione è visibile dagli avventori ed è dietro al banco di mescita. Le spine di mescita sono direttamente collegate alle vasche con dei tubi. Tutto tenuto ad una temperatura di + 4° C, tubature comprese. Ovviamente la nostra birra è nata per essere prodotta e subito consumata, senza pastorizzazione né filtrazione. Allora non c’era la legge che imponeva questo metodo di produzione (arrivata nel 2016 N.d.A.). Abbiamo anticipato anch’essa! Produciamo da sempre poche tipologie di birre: una weizen, una doppio malto, una bionda e una rossa. Non abbiamo distribuzione, al massimo facciamo birra per conto terzi. Per cui nel locale vendiamo tutto quanto produciamo”. I ricordi risalgono in superficie nella mente di Bruno Joan. “Quando siamo partiti avevamo dovuto prendere il buttafuori per far entrare la gente un po’ alla volta.

Vendevamo 60 litri di birra ogni 10 minuti, aprendo dalle 16 alle 2 di notte. Ad un certo punto ci siamo dovuti rivolgere a un birrificio della Baviera perché non riuscivamo a stare dietro con i nostri impianti. Ci arrivava un autotreno di fusti la settimana, tant’è che il titolare del birrificio tedesco un giorno venne a vedere, perché non credeva che una birreria si potesse consumare così tanto. Il nostro locale, oltre alla birra fresca, propone pizze, grigliate di carne, panini e, su richiesta, piatti di pasta. Disponiamo di 150 posti a sedere interni e 130 fuori, con un vasto parcheggio. Sempre quando aprimmo, ci dotammo di 5 grandi schermi per vedere le partite in diretta dell’Udinese, quando nessuna TV ancora le trasmetteva”.

Resta in Joan un solo piccolo dispiacere. “Sempre agli inizi, mi venne in mente di fare un consorzio. Allora, in regione, i birrifici artigianali erano una decina. L’idea era, oltre che di fare promozione per le nostre aziende, di centralizzare gli acquisti, ad esempio, e altro ancora. Tutti mi dissero di sì. Andai dal notaio, per stendere lo statuto, che per legge doveva avere almeno nove soci. Al momento di firmare ci siamo ritrovati in cinque. Qualche anno dopo il Consorzio lo hanno fatto a Modena e si chiama Unionbirrai. Fossimo stati più aperti alla collaborazione, questo poteva essere stato fatto in Friuli”.

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