Giuliano Marini – ovvero il maggiordomo delle api – è stato il primo ad inventarsi in Italia lo slogan dell’iniziativa Adotta un alveare biologico. Era il 2008, l’annus horribilis che coincide, non a caso, con la moria delle api. Un’idea brillante anche sotto il profilo del marketing, oltre che capace di sensibilizzare l’uomo inquinante che sta cercando in ogni modo di compromettere l’ambiente in cui vive.
Apicoltore o apicultore?
“Mi definisco apicultore in quanto non appartengo a coloro che hanno delle arnie e ne raccolgono il miele senza avere con le api un rapporto che va oltre la mera logica dello scambio. Io alle api penso, ne seguo il lavoro, mi preoccupo del loro benessere, ne studio le problematiche che si stanno facendo sempre più difficili. Le api le difendo. Un’ape pesa come due chicchi di lenticchie, eppure ha un raggio di volo di 3 chilometri andata e altrettanti per il ritorno (per le bottinatrici). Quando vola respira, come noi umani, ed è assai sensibile all’inquinamento sia atmosferico sia provocato direttamente dall’agricoltura. Ebbene: negli ultimi decenni per le api è come se noi vivessimo in una discarica. Soffrono, soffrono molto. Sono fragilissime pur avendo una capacità lavorativa impressionante. Essere il loro maggiordomo vuol dire fare ciò che mi chiedono. Le curo, le difendo e, in cambio, loro mi danno il miele. E non le alimento con una “pappa” di zucchero, ma col miele. Le faccio vivere in aree le più salutari possibili, tant’è che il miele che ne ricavo è biologico. Faccio in modo abbiano il massimo benessere possibile”.
Azzardo una domanda, sperando di non irritarlo: quanto miele produce? Il maggiordomo perde un po’ del suo aplomb: “Proprio per quanto appena detto non ci sono dati, ovvero essi sono assai diversi di anno in anno. Da un alveare, nel 2011, ho raccolto 60 chili di miele d’acacia, tetto massimo, ma nel 2019 solo 9, sempre di acacia. Comunque si produce sempre di meno. Da parte mia osservo anche che, negli ultimi anni, la pratica del nomadismo non dà i risultati sperati: le api soffrono anche gli spostamenti. Per cui il nomadismo l’ho ridotto drasticamente, anche perché c’è sempre meno pascolo per loro, meno varietà di fiori ed erbe. Ormai, salvo poche zone, i prati stabili stanno sparendo (e con essi viene a mancare anche un alimento che permette alle mucche di produrre latte – e quindi formaggi – eccellenti). Inoltre le monocolture hanno eliminato boschi e boschetti, creando delle desolanti lande anche sotto il profilo paesaggistico, come accade in pianura. Per fare un paragone che riguarda le varietà di cibo con cui le api si nutrono, è come se noi mangiassimo solo polenta”. Infatti i nostri avi avevano quasi tutti la pellagra.
“La mia è stata una scelta più che economica, di vita. Non importa se sai poco delle api e del miele, il Maggiordomo delle api ti accompagnerà. Scoprirai che le api possono stupirti ogni volta che le incontri. Le osserverai anche da molto vicino e scoprirai che puoi anche accarezzarle. Il miele invece va fiutato per indovinare da che fiore arriva, chiede tempo per sciogliersi nel palato e concentrazione per coglierne le sfumature di sapore”.